{"id":13034,"date":"2020-09-18T10:48:09","date_gmt":"2020-09-18T08:48:09","guid":{"rendered":"https:\/\/filosofiaamica.it\/?p=13034"},"modified":"2020-09-18T10:48:25","modified_gmt":"2020-09-18T08:48:25","slug":"the-unbreakables-quando-perdere-non-e-unopzione","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/filosofiaamica.it\/applicare-le-pratiche\/the-unbreakables-quando-perdere-non-e-unopzione\/","title":{"rendered":"The Unbreakables: quando perdere non \u00e8 un’opzione"},"content":{"rendered":"
“La ferita \u00e8 il luogo in cui la luce entra in te” (Rumi)<\/em><\/p>\n <\/p>\n Sette atleti<\/strong>. Sette storie di vita. Sette racconti<\/strong> di chi ce l’ha fatta.<\/p>\n Non senza difficolt\u00e0 e non senza dover attraversare l’esperienza della sofferenza, del limite<\/strong> e, talvolta, della rabbia.<\/p><\/blockquote>\n D’altronde, \u00e8 proprio questo che rende naturale immedesimarsi<\/strong> nelle storie di Bebe Vio, Simona Quadrella, Ivan Federico<\/em> e degli altri membri del Team degli Unbreakables<\/strong> della Toyota.<\/p>\n Perch\u00e9, chiunque abbia attraversato un momento di forte dolore<\/strong> o di smarrimento, chiunque abbia perso qualcuno<\/strong> o qualcosa \u00a0– magari una parte di s\u00e9 – pu\u00f2 capire come ci si sente nel dover fare i conti con ci\u00f2 che resta<\/strong>.<\/p>\n E nel dover trovare<\/strong> dentro o fuori di s\u00e9 un motivo valido per raccogliere i cocci<\/strong> e ricostruire il puzzle della propria esistenza.<\/p><\/blockquote>\n E’ qui che ci viene in aiuto il Kintsugi<\/em><\/strong>, l’antica arte giapponese del restauro<\/strong> che, invece di provare a nascondere o camuffare le crepe<\/strong>, le valorizza.<\/p>\n Ricoprendole d’oro<\/strong> o di altri metalli preziosi.<\/p>\n Il Kintsugi<\/em> nasce alla fine del 1.300 in Giappone ed \u00e8 oggi noto in tutto il mondo, tanto da essere utilizzato da molto artisti e designer di fama internazionale.<\/p>\n Ma il vero valore del Kintsugi sta nel messaggio che esso veicola: le crepe degli oggetti, infatti, sono una chiara metafora<\/strong> delle cicatrici<\/strong> che ogni essere umano porta con s\u00e8.<\/p><\/blockquote>\n E l’invito che il Kintsugi ci rivolge \u00e8 quello di cambiare la nostra prospettiva<\/strong> e, invece di fuggire dal dolore o tentare di negarlo, provare ad attraversarlo<\/strong>, prendendocene cura.<\/p>\n Solo cos\u00ec, solo grazie ad un atto di cura<\/strong>, di amore<\/strong> e di fiducia<\/strong> nel processo, ci sar\u00e0 possibile fare davvero pace con il passato,<\/strong> renderlo parte della storia<\/strong> personale e sfoggiarlo, con lo stesso coraggio e lo stesso orgoglio<\/strong> con cui gli artigiani giapponesi enfatizzano le rotture di un vaso o di una tazza da the.<\/p>\n Quando ci diamo tempo, quando decidiamo che il nostro vissuto merita di essere osservato, rielaborato, ri-significato,<\/strong> ecco che siamo pronti a fare un passo indietro<\/strong> dall’emotivit\u00e0 per abbracciare una prospettiva pi\u00f9 ampia e globale, in cui l’evento, il trauma, la ferita, diventano parte di qualcosa (noi) che \u00e8 pi\u00f9 del dolore stesso.<\/p><\/blockquote>\n Questo \u00e8 il primo passo<\/strong> per ricominciare.<\/p>\n Da questa prospettiva pi\u00f9 ampia, infatti, riusciamo a vedere che qualcosa in noi sopravvive<\/strong>. Sempre e comunque.<\/p>\n Ed \u00e8 dalla luce che affiora dalle crepe<\/strong> che troviamo le indicazioni su come proseguire il Viaggio e sulla meta da scegliere.<\/p>\n