{"id":12080,"date":"2019-06-06T07:28:48","date_gmt":"2019-06-06T05:28:48","guid":{"rendered":"https:\/\/filosofiaamica.it\/?p=12080"},"modified":"2019-06-09T09:08:37","modified_gmt":"2019-06-09T07:08:37","slug":"il-silenzio-filosofico-lo-spazio-del-non-due","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/filosofiaamica.it\/applicare-le-pratiche\/il-silenzio-filosofico-lo-spazio-del-non-due\/","title":{"rendered":"Il silenzio filosofico: il luogo del non-due"},"content":{"rendered":"

“Per colmare un vuoto devi inserire ci\u00f2 che l\u2019ha causato.<\/em>
\nSe lo riempi con altro, ancora di pi\u00f9 spalancher\u00e0 le fauci.<\/em>
\nNon si chiude un abisso con l\u2019aria”.<\/em>
\n(Emily Dickinson)<\/em><\/p>\n

 <\/p>\n

Seduti al tavolo del ristorante, il mio interlocutore<\/a> prende una matita e disegna<\/strong> qualcosa sulla tovaglia di carta.<\/p>\n

Si tratta dell’ideogramma giapponese<\/strong> “ma”\u00a0\u9593.<\/p>\n

“Ma” rappresenta il vuoto, lo spazio tra i pensieri<\/strong>. E’ ci\u00f2 che permette al the di essere versato nella tazza.<\/p><\/blockquote>\n

E’ un fenomeno naturale, che tuttavia a volte non riconosciamo<\/strong>, poich\u00e9 la frenesia<\/strong> della mente e i ritmi di una vita sempre in corsa ci assorbono, lasciando poco tempo per osservare il naturale manifestarsi<\/strong> degli eventi.<\/p>\n

Sempre pi\u00f9 occupati a riempire<\/strong> gli spazi, a soffocare<\/strong> il grido di un’anima che si ribella ai modelli preconfezionati proposti dalla nostra cultura (che ha ormai perso drammaticamente il contatto con “l’ecologia profonda<\/strong>” della natura), a tenere la mente occupata per impedirle di soffermarsi su ci\u00f2 che genera dolore<\/strong> ed obbliga a porsi le domande<\/strong> esistenziali che i filosofi – spesso in modo tedioso e irrispettoso del desiderio di apatia<\/strong> che alcune persone reclamano come diritto – hanno formulato nel corso dei secoli, smettiamo di percepirlo.<\/p>\n

E cos\u00ec, quando lo incontriamo, invece di riconoscerlo come necessaria condizione per l’apparire dei fenomeni<\/strong>, tentiamo di scacciarlo e ne abbiamo paura<\/strong>.<\/p>\n

La meditazione<\/strong> ci insegna ad esplorare il vuoto<\/strong> e, attraverso la pratica, piano piano cambiamo le reazioni automatiche<\/strong> di riempimento e\/o fuga<\/strong> per lasciare emergere un atteggiamento pi\u00f9 equanime<\/strong>.<\/p><\/blockquote>\n

Anche nella consulenza filosofica<\/strong> il vero dialogo ha luogo a patto che consulente e consultante non temano<\/strong> il vuoto, che si manifesta spesso sotto forma di silenzio.<\/strong><\/p>\n

Un silenzio che \u00e8 presa in carico dell’impegno<\/strong> che la riflessione richiede, della disponibilit\u00e0 a ricominciare<\/strong> da zero, a sospendere il proprio punto di vista, rinunciando alla tentazione<\/strong> di attingere a saperi ed esperienze elaborate e vissute da altri.<\/p><\/blockquote>\n

Silenzio – o vuoto – che \u00e8 dunque un fare spazio alle idee dell’altro<\/strong>, ma anche a quelle che costantemente attraversano la mente, per verificare se, al di l\u00e0 di ci\u00f2 a cui abitualmente crediamo<\/strong>, c’\u00e8 ancora margine per la scoperta<\/em>, per la creativit\u00e0<\/em>, per la novit\u00e0<\/em>.<\/p>\n

Questo silenzio filosofico<\/strong>, che ricorda l’epoch\u00e8<\/em> stoica, \u00e8 poi accettazione e riconoscimento di un fenomeno del tutto particolare: l’incontro con l’altro<\/strong>.<\/p>\n

Nella relazione di consulenza, le parole<\/strong> dicono, affermano, modellano<\/em> la storia personale che ognuno si costruisce e attraverso cui si presenta al mondo<\/strong>. Ma quelle parole, si scopre strada facendo, spesso non sono chiare e definite nemmeno a chi le pronuncia con sicurezza<\/strong>.<\/p><\/blockquote>\n

Da qui l’importanza del lavoro logoanalitico<\/strong> che, in modo\u00a0maieutica<\/b>, permette al consultante di esplicitare<\/strong> ci\u00f2 che egli associa al termine e di condividere il bagaglio di emozioni, ricordi e aspettative<\/strong> che fanno di un vocabolo<\/strong> qualcosa di pi\u00f9 di uno strumento<\/strong> neutro.<\/p>\n

E spesso, al termine del processo, tanto il filosofo quanto l’interlocutore, acquisiscono una fetta di sapere nuova e ampliano il proprio mondo<\/strong>, grazie all’incontro con il mondo dell’altro.<\/p>\n

Silenzio, dunque, come presupposto della comunicazione e, infine, come assunzione di responsabilit\u00e0 e riconoscimento che, per il consultante, portare se stesso nella sessione e mettersi a nudo<\/strong> \u00e8 un atto di fiducia verso il consulente.<\/p>\n

Ecco che allora il silenzio \u00e8 riconoscimento della disponibilit\u00e0 ad esserci<\/strong> e tentativo di incontrarsi sul terreno neutro della ragione<\/strong>, nella quale l’ego e le storie personali sono – per cos\u00ec dire – sospese, e trascendono l’individualit\u00e0<\/strong> per lasciare posto all’esperienza – solo apparentemente contraddittoria<\/strong> – dell’assoluta compartecipazione<\/strong> e dell’inevitabile, strutturale differenza<\/strong> rispetto all’altro.<\/p>\n

Con la speranza che ogni silenzio della vostra giornata possa essere ricco di significato,<\/em><\/p>\n

Valeria<\/em><\/p>\n