Metodo Wholeness: dare valore all’essere per tornare a dare senso al fare

“Siamo tutti apprendisti in un mestiere dove non si diventa maestri” (Ernest Hemingway)

 

La carrellata di esercizi sulla gratitudine ci ha acocmpagnati nelle fasi finali del corso sul metodo Wholeness.

13 giornate, con più di 300 persone coinvolte e oltre 7 sedi sparse nella città di Milano e nell’hinterland.

Un percorso intenso, ricco di contenuti, in cui la profondità delle esperienze condivise e dei vissuti affiorati durante le meditazioni, si è sapientamente alternata a momenti di distensione e sorrisi.

Il tema, quello del benessere organizzativo, è stato dunque punto di partenza e pre-testo per offrire ai partecipanti una giornata da dedicare a se stessi, come persone e in quanto professionisti.

Non solo: in quanto persone impegnate in un percorso di crescita, evoluzione, proprio come suggerito da Friederich Laloux nel testo che ha ispirato il corso: “Reinventare le organizzazioni“.

Si è parlato di lavoro, dunque, ma non in termini di prestazione.

Piuttosto abbiamo cercato di evidenziare come e perchè ciò che facciamo plasma ciò che siamo e, viceversa, in che modo la qualità del nostro agire possa incidere sul prodotto finale o sul servizio offerto.

Wholeness, dunque, come termine moderno per indicare ciò che i filosofi greci chiamavano eudaimonia, ossia pienezza, realizzazione di sè, fioritura, felicità.

Una felicità, tuttavia, che non va intesa come qualcosa che dipende dagli eventi esterni, bensì come progetto di vita, che, in quanto tale, richiede impegno, costanza, dedizione.

Proprio come un lavoro ben fatto.

E’ evidente, quindi, che nel percorso, la vita lavorativa e quella privata smettano di appartenere a due compartimenti distinti per diventare l’una il motore dell’altra, in un processo che vede l’individuo di nuovo al centro e, simultaneamente, a servizio.

L’attività, in questa prospettiva, è quindi espressione del sè e tale sè va ricnosciuto, scoperto, cercato, accettato e valorizzato. Anche grazie al lavoro.

Traghettare verso un nuovo modo di pensare e vivere il lavoro, che sia in sintonia con i bisogni e i desideri più profondi dell’essere umano, compresi quelli etici e spirituali, sembra perciò essere possibile.

Quella del paradigma teal e del metodo di Laloux è una tra le proposte possibili. Altre ne abbiamo già costruite, molte sono ancora da inventare.

Con gioia e gratitudine,

Valeria