“Ci sono mille possibili “io” in me e non posso rassegnarmi ad esserne uno soltanto” (Andrè Gide)
Già le vedo: una davanti all’altra.
Due giovani donne, due personalità diverse, entrambe decise, ognuna a suo modo, a lasciare un segno.
Valeria e Valentina, sono loro, le mie “me stessa”.
La prima, Valeria, quella che conosco, quella delle meditazioni e delle notti passate nella taverna del ristorante di famiglia a scoprire che il suo potere era esattamente là, dove la mente non avrebbe voluto andare: al centro del dolore.
Lei, Valeria, con quella forza di guardarsi dentro, di osservare le sue ombre che Valentina le invidia e che al tempo stesso teme.
E l’altra, Valentina, in grado di dar vita all’altra Valeria, quella che ama girare sui tacchi alti con un sorriso sicuro e lo sguardo civettuolo. Quella che si nutre della sua bellezza e non accetta di far suoi i giudizi di un paese che, in fondo, scopre meno bigotto di quel che pensava.
Quella che Valeria voleva essere e che ora rinnega. Quella che Valeria considera troppo superficiale e timorosa per affrontare questo momento della sua vita.
Lei, Valentina, che ha stuzzicato Valeria con promesse di seduzione e audacia, che le ha fatto intravedere dove potrebbe spingersi se osasse essere solo se stessa, senza alcun passato nè alcuna storia a cui dover guardare.
Lei, tanto abile nel muoversi nel mondo, quanto pronta a voltarsi davanti all’oscurità.
Valeria, eroina del mondo delle ombre, e Valentina, giocatrice nel mondo dei vivi. O di coloro che credono di esserlo.
Lei, Valeria e Valentina, e lei, che le osserva entrambe e cerca di capire in quale momento sia accaduto: quando l’una ha preso il posto dell’altra? Quando, ad un certo punto, Valeria si è stanacata di essere “sempre se stessa” ed ha iniziato a giocare con una maschera – ed un nome – che adesso risulta ingombrante.
Quando Valeria è diventata sempre più Valentina?
E quando Valentina ha iniziato a leggere sul proprio viso spavaldo un accenno di preoccupazione, un lieve, impercettibile tratto, che le ricorda di aver bisogno di quella Valeria dalla quale voleva prendere le distanze e della quale pensava di poter fare a meno?
Quando Valeria ha deciso di dover diventare Valentina per poter essere se stessa?
Quando Valeria si convincerà che è la leggerezza di Valentina la chiave per affrontare le sue ombre e che queste sono tali solo nella mente di Valeria e non nel mondo di Valentina? Quando Valeria accetterà che la fragilità che scorge in Valentina è solo un ultimo residuo di un’abitudine al giudizio che la rende prigioniera di una di una rigità che è solo sua?
Quando accetterà, Valeria, che è lei, ora ad essere debole e non la Valentina che negli anni ha saputo crescere, cambiare, evolversi, giocarsi?
E quando Valentina ha capito di non poter sopravvivere nel mondo senza la forza di Valeria, una forza diversa dalla sua, un potere di chiudere gli occhi e osservare con coraggio ciò che accade quando si prendono le distanze dal mondo fisico?
E cosa accadrà quando le due donne, finalmente, si incontreranno?
Sapranno offrirsi riconoscimento e sostegno reciproco? Sapranno sostenere l’una lo sguardo dell’altra? Sapranno diventare sorelle, loro che, sorelle lo sono davvero?
Sapranno diventare tanto forti, insieme, da conquistare le vette del mondo ordinario e di quello extra-ordinario? E saranno in grado, infine, di trasformare la persona che pazientemente le ospita entrambe e che permette a ciascuna di loro, ciclicamente, di esprimersi?
Come apparirà Valentina a Valeria ora che ha avuto il coraggio di mostrarsi nella sua fragilità? E come saprà esprimersi Valentina, nella vita di Valeria senza prendrne il posto?
A queste domande c’è ancora tempo per rispondere.
Ed accadrà con un romanzo, un racconto, in cui due tra le mille anime che mi popolano avranno la possibilità di vivere da protagoniste e di giocare la propria partita.
E dall’esito di questo incontro dipenderanno le prossime pagine della mia vita.
Per ora, mi firmo Valeria e mi immagino Valentina.
Namastè