“Mi sembra che il linguaggio venga sempre usato in modo approssimativo, casuale, sbadato, e ne provo un fastidio intollerabile. Non si creda che questa mia reazione corrisponda a un’ intolleranza per il prossimo: il fastidio peggiore lo provo sentendo parlare me stesso. Per questo cerco di parlare il meno possibile, e se preferisco scrivere è perché scrivendo posso correggere ogni frase tante volte quanto è necessario per arrivare non dico ad essere soddisfatto, ma almeno a eliminare le ragioni d’ insoddisfazione di cui posso rendermi conto”.
(Italo Calvino)
Mi diceva che il “Lei” era una promessa: l’attesa del momento in cui ci saremmo dati del “tu”.
Sarebbe stato quello l’attimo in cui avremmo capito che il sogno era reale, che potevamo crederci ed abbandonare ogni difesa per abbracciare l’Amore che, atteso e inaspettato, aveva bussato alle nostre porte, costringendoci ad uscire allo scoperto e a tornare a vivere nel mondo.
Il tempo dell’attesa c’è stato e ci ha dato modo di conoscerci, o meglio, di ricordarci di quando e quante volte già ci siamo incontrati in questa e nelle vite passate.
Il tempo dell’attesa è servito per prendere le misure e per decidere se saremmo stati forti abbastanza per difendere una promessa fatta, ancora prima che all’altro, a noi stessi.
Il tempo dell’attesa è stato utile e ci ha visti agire come ragni che, con rapidità e precisione, costruiscono una tela, fatta non tanto per intrappolare qualcosa o qualcuno, quanto per tessere dolci fili nei quali accoglieremo, come in una casa, il corpo e l’anima dell’Amore.
Il tempo dell’attesa è stato un trampolino, che ci ha dato modo di avvicinarci all’acqua per poi immergerci con un salto rapido e deciso e risalire dalle profondità con il rinnovato desiderio di respirare, di vivere, di sognare.
Il tempo dell’attesa è stata la soglia della decisione, quell’ultima possibilità per capire se, dove e a quale distanza fermarci.
E’ stato un gioco, un piacere, qualcosa che era solo nostro e che avrebbe tenuto il mondo fuori da quella bolla sempre in grado di proteggerci e darci modo di diventare talmente lucenti da espandere la forza di un sentimento sino al punto in cui questo diventa trasformativo non solo per chi lo vive, ma anche per chi se ne avvicina e ne rimane affascinato.
Il tempo dell’attesa è il regalo di quel momento in cui, dopo la crisi (nel senso etimologico di “svolta significativa“) si torna a camminare.
E’ il dolce sussurro di due parole che esprimono una decisione, è il riconoscere che l’imbarazzo ha lasciato il posto alla gioia del dare e del ricevere, è prendere atto che, semplicemente, non c’è più spazio per la guerra ed è restato solo l’arrendersi, innocente, ad un dono a cui non vuoi rinunciare.
Il tempo del “Lei” è diventato tempo del “tu”, del “noi”, dell’ “io” che si trasforma e che prova ad essere qualcosa di diverso, di migliore, di altro da sé.
Il tempo del “tu” parla di un’intimità nuova, tutta da scoprire e costruire, e della voglia di dirsi, attraverso un semplice cambio di registro, che siamo pronti ad esserci l’uno per l’altra. Adesso, per sempre, di vita in vita.
Il tempo del tu, ora, è anche capacità di giocare con il “lei” in un modo nuovo, invertendo i piani e le priorità.
Ed è da qui, oggi, che guardo simultaneamente indietro e avanti, che ascolto il presente e pongo un sassolino per il domani.
Con gioia e gratitudine,
Valeria