Il bacio segreto del sole e della luna

“Non c’è nulla che puoi vedere che non sia un fiore; non c’è nulla che puoi pensare che non sia la luna”.
(Matsuo Basho)

 

 

I biglietti erano quasi nascosti tra le pagine del libro contenuto nel pacco.

Quelle pagine, di cui tanto avevano discusso, parlavano di frammenti e ricordi, e di ciò che era stata la vita prima di conoscersi.

A volte, prima di dormire, lui le raccontava della sua infanzia e dei luoghi in cui aveva vissuto, portandola con sè dentro l’immagine.

E così, lei, poteva essere con lui sulla spiaggia in cui giocava da bambino o mentre festeggiava il Natale.

Era con lui mentre beveva fino a perdere e a perdersi, lo osservava varcare la soglia di casa e muoversi tra le vie della città, tra una consegna e l’altra. Lo sentiva scherzare con i ragazzi italiani e dibattere fino allo sfinimento con i colleghi.

Poteva toccare, quasi fisicamente, il senso di riscatto di cui era alla ricerca e, qualche volta, riusciva anche ad avvicinarsi a quella zona d’ombra dalla quale lui cercava in ogni modo di proteggerla.

Trascorrevano le giornate amando ed amandosi e solo la sera, quando il resto del mondo aveva già messo la parola “fine” ad un’altra giornata, potevano finalmente scrivere, lasciando che, come onde, le immagini si sovrapponessero alle emozioni.

In quelle lunghe notti, le frasi prendevano vita: le mani si rincorrevano, rubandosi il tempo, catturando le lacrime, immortalando i sorrisi.

E gli occhi si perdevano, incerti se abitare il passato o il futuro.

Liberi dai vincoli che, fuori, risucchiavano e inghiottivano le altre persone, la loro vita era fluida, libera, ribelle. Come avvolti da una bolla che permetteva loro di osservare il mondo senza esserne visti, erano rimasti sospesi, fino a quando la realtà era tornata a bussare alla porta ed aveva spezzato per spempre quella dolce magia.

 

Il messaggio è arrivato un sabato sera qualunque. Dopo un anno di silenzio.

Gli eventi esterni hanno richiesto un certo lasso di tempo prima che potessi partire, ma non ho avuto dubbi che raggiungerlo fosse la cosa giusta.

Perchè, nemmeno per un momento, ho pensato che si trattasse di un caso.

E se non a tutti piace la parola “sincronicità“, io credo che si possa però convenire sul fatto che certi eventi accadono con un tempismo che sembra segnato da una legge o da una saggezza che supera la capacità che la mente ha di prevedere, controllare, pianificare.

Non è stato il contenuto del messaggio a fare la differenza, quindi, ma il momento.

Poi la mente è subentrata, ha iniziato ad avere paura, a farsi delle domande. Si è chiesta come sarebbe stato rivedersi, ha provato a mettere insieme i pezzi e indovinare cosa pensasse l’altro, perdendo, in parte, quella spontaneità che ora cerca di riemergere.

Siamo passati dall‘anima all‘io, come forse è inevitabile che accada.

Giorno dopo giorno ci siamo scoperti, conosciuti, avvicinati e allontanati. Abbiamo cercato di mostrare il meglio di noi, senza immaginare che ciò che l’altro avrebbe apprezzato sarebbe stato proprio quel dettaglio che siamo tanto abituati ad essere, da dimenticarci di avere.

Abbiamo parlato, dormito (anche in luoghi inappropriati!), mangiato, viaggiato.

Mi hai vista perdermi tra le idee, senza più riuscire a dare loro forma e ritrovarmi nel freddo di una camminata solitaria alle prime luci dell’alba.

Ti ho sentito pronunciare il mio nome e mi hai stupita dicendomi che è la versione femminile di quello di tuo padre. Mi hai raccontato delle conversazioni telefoniche con tua madre, per lei sempre troppo brevi e per te troppo ricche di raccomandazioni.

Non hai voluto “piegarti” al mio bisogno di linearità ed io ho accantonato il desiderio di chiarezza, provando a trovare, nel fiume di informazioni che hai condiviso, quelle parole che potessero spiegarmi perchè. E perchè ora.

E che potessero rivelarmi, attraverso quella risposta, la tua visione del mondo.

Hai criticato quasi ogni cosa che ho detto e spesso ho pensato che tu fossi troppo pieno di te per riuscire ad ascoltare.

Ti ho sentito parlare e dire la cosa giusta. Ed ho avvertito me stessa tornare al silenzio, quando il dialogo si è fatto monologo e quando il mio corpo, da specchio, si è trasformato in muro.

Ti ho visto soffrire e dissimulare il dolore. E poi provare a sorridere per non farmi stare male.

Ho apprezzato i non detti e amato gli assaggi di quotidianità. Mi sono sentita a volte connessa e altre distante, ma sempre felice di esserci.

E il rientro a casa, fatto di lavoro e corsi, di amici e progetti, ma anche di silenzi, solitudine, nostalgia e desideri che solo a porte chiuse riesco ad ammettere di avere, continua a parlare di te e a farmi scrivere. Fino ad avere l’impressione di strizzare quei cinque giorni trascorsi insieme come uno straccio dal quale, ad un certo punto, smetterà di uscire acqua.

Fino a quel momento, fino a quando non avrò elaborato tutto quello che ancora sento il desiderio di condividere ed il piacere di raccontare, l’avventura berlinese non sarà davvero finita.

Solo a quel punto, potremo guardare avanti e proseguire il viaggio.

Con tanto amore, my dear Knight,

Valeria