“Avete provato a rendermi normale. Avete avuto scarso successo, ma mi avete resa una persona felice”
(Valeria, oggi, appena sveglia)
E fu così che, dopo anni, un bel giorno, le preghiere di mia mamma vennero esaudite.
Ed io finii sul lettino dello psicologo.
Il mio animo ingenuo si prefigurava uno studio luminoso, con ampie finestre ed una comoda chaise longue sulla quale adagiare il mio corpo e lasciar fluire i ricordi. Uno studio simile a quello che mi ospita nelle lunghe chiacchierate con la mia guida interiore.
La realtà è stata un pò meno poetica, ma ho comunque trovato del bello anche nella piccola stanzetta dalle pareti color cemento e dalla scrivania che sembrava uscita direttamente da un salotto delgi anni Ottanta.
La mia guida, in questo caso, si è presentata sotto forma di un giovane Dottore che, seppur scettico rispetto alle mie convinzioni rispetto al rapporto tra alimentazione e buon funzionamento della mente umana, ha comunque saputo farmi sentire a mio agio ed offrirmi un filo col quale riannodare pensieri e parole che, ieri, sgorgavano in libertà.
Intervallando domande e commenti a sguardi attenti alla mia mano sinistra che, per vincere l’emozione ed un filo di imbarazzo, giocherellava con il braccio destro riducendo un povero lembo di pelle ad una chiazza rossastra, il giovane Dottore inizia a sondare le parti più recondite della mia pische.
Ero curiosa ieri: arrivavo al nostro incontro carica di aspettative, forse con l’infantile speranza che il nostro colloquio mi avrebbe finalemnte permesso di trovare una risposta ai miei “perchè”, forse con l’idea che le sue parole mi legittimassero a perpetuare un meccanismo che, in realtà, inizio a riconoscere come parte del problema.
E poco importa se nel mezzo della nostra seduta io mi sia sentita un pò come uno dei cani di Pavlov che, al suono della campana, iniziano a sbavare aspettandosi cibo: entrambi abbiamo convenuto che questa distanza – quella tra l’approccio cognitivo-comportamentale dello piscologo e la mia impostazione analitico-immaginale – potesse essere la chiave per un rapporto vincente.
La diversità funzionerà? Sapranno i nostri mondi dialogare, rispettarsi ed uscirne nobilitati? Chi lo sa.
Quel che so, è che la vita, ancora una volta, mi sta chiedendo di fare i conti con una prospettiva del reale nuova e, per quanto lontana dalla mia, altrettanto legittima. E il mio animo da esploratrice è felice di avere l’opportunità di osservare lo stesso oggetto – il mio mondo e la mia psiche – con occhi che ancora sanno meravigliarsi.
Esco dallo studio ed ormai è sera: a casa mi aspetta una cena tra amiche di vecchia data.
E tra ricordi, vino e chiacchiere, torno per qualche ora la piccola Valeria che scorazzava nel ristorante di famiglia.
Ecco, mamma, questo articolo è dedicato a te, che mi volevi normale: forse non ti è riuscito del tutto, ma, almeno per qualche ora, hai riavuto con te la tua piccola Valeria.
Con affetto e gratitudine, anche per lo psicologo,
Valeria