Tu ed io, tra le pieghe del silenzio: sulle parole, l’ascolto e la relazione con l’altro

“Come c’è un’arte di raccontare, solidamente codificata attraverso mille prove ed errori, così c’è pure un’arte dell’ascoltare, altrettanto antica e nobile, a cui tuttavia, che io sappia, non è stata mai data norma”.
(Primo Levi)

 

“Combattere contro il proprio carattere e il proprio modo di essere non è facile”.

Dopo una settimana di full immersion nelle pratiche filosofiche, dopo qualche accenno alla logoanalisi e dopo le costanti sollecitazioni a non interpretare il pensiero o il linguaggio dell’altro, quanto, piuttosto, ad ascoltarlo, esplorarlo, chiarirlo, problematizzarlo, non potevo restare indifferente davanti a questa frase.

O forse, sì, avrei potuto. Ma semplicemente non mi andava.

La frase in questione arriva dopo qualche giorno di silenzio: un’assenza che comunica tante cose, forse più delle parole.

E fa breccia dentro di me, tocca un nervo scoperto.

Mmi mette di fronte alla possibilità di accettare il cambiamento, nella sua imprevedibilità, provando ad accoglierlo come una sfida, un’opportunità, o come una necessità ineluttabile, e alla resistenza che provo, qualche volta, nell’aprire le braccia a ciò che la vita mi offre, alle occasioni inaspettate, quelle che obbligano ad uscire dalle strade già tracciate per stare davanti all’ignoto.

Questa frase apre una porta che mi mette in comunicazione con l’altro e con me stessa.

Crea un ponte, una connessione, mi offre l’opportunità di dialogare,  di addentrarmi in un universo ricco e variegato, fatto di visioni del mondo – più o meno consapevoli – di aspettative, speranze, paure e credenze che a volte si sovrappongono alle mie ed altre ne prendono le distanze.

Una singola frase, anche una sola parola, ci svela la complessità di chi abbiamo davanti (o a centinaia di Km di distanza).

Una sola parola può colpire, far innamorare, distruggere, ferire, creare, ammaliare, uccidere o incuriosire.

E, forse, il punto sta nell’osservare la nostra reazione davanti ad essa, salvo poi mettere tra parentesi ciò che essa suscita in noi ed esercitare l’epochè, la sospensione del giudizio, per far spazio all’altro e permettergli di esistere e di significare, a modo suo, quell’espressione.

Forse, ascoltare, significa qualcosa di diverso dal semplice sentire.

Ascoltare, è l’atto attraverso cui l’altro esiste e colora il mondo con sfumature che sono solo sue, non nostre.

Forse, ascoltare, aiuta anche noi ad abitare centinaia di mondi diversi: quelli che emergono dalla struttura profonda del nostro interlocutore e che ci raccontano del suo passato e, al tempo stesso, del suo futuro.

Che raccontano di lui e anche di noi.

Ecco perchè, davanti a questa frase, non ho saputo cosa rispondere: forse perchè, stavolta, non serviva rispondere.

Forse perchè, oggi, volevo che ad esistere fosse lui. Non io. Il suo mondo, non il mio.

Forse, oggi, la certezza di esserci per l’altro e nell’altro, ha permesso anche a me di coltivare il silenzio. E di lasciare che esso assuma ogni possibile senso che il lettore vorrà attribuirgli.

E se sei curioso di scoprire cosa ne ho fatto, alla fine, di questa frase e come l’ho trasformata in un esercizio filosofico, beh, leggi qui!

Con affetto e dolcezza,

Valeria