Parole nella neve: immagini, progetti e scommesse future

“La neve e il suo magnifico silenzio. Non ce n’è un altro che valga il nome di silenzio, oltre quello della neve sul tetto e sulla terra”.
(Erri De Luca)

 

 

La luce del mattino penetra appena dalle tende scure.

Le pareti alte e bianche, i mobili in legno, il pavimento che tradisce anche il più piccolo movimento: ogni angolo della stanza adesso racconta qualcosa di lui, qualcosa di lei, qualcosa di questa avventura.

Si girano, indecisi se alzarsi o godere di nuovo del corpo dell’altro ed osservano la città che, coperta di neve, è ancora più affascinante.

 

Non ricordano da chi sia partita l’idea nè come abbiano scelto la destinazione.

Forse un pò per gioco, quella mattina in cui lui le aveva proposto di portarla con sè, al prosismo viaggio.

Poi era arrivato il momento dei saluti e il silenzio era di nuovo calato tra loro.

Erano tornati alle loro vite e ciò che restava di quell’incontro era il profumo di un ricordo e la nostalgia di un futuro che avrebbe potuto non arrivare.

Solo ora, mentre lui la stringe di nuovo tra le braccia e la scalda con quelle parole che da tempo voleva dirle, riescono a credere che sia vero e a tingere di realtà un’immagine che, altrimenti, sarebbe rimasta pura fantasia.

 

Mancano poche ore alla partenza.

Peter dorme.

Cerco di muovermi silenziosa per non svegliarlo, ma i suoi occhi sono già puntati su di me.

L’accappatorio azzurro, quello con il sole giallo e blu, copre i miei vestiti: recupero velocemente qualcosa e mi preparo ad uscire.

E’ l’ultima mattina a Berlino e, proprio ora che sto familiarizzando con le vie del quartiere islamico e con i volti dei negozianti che parlano in una lingua che vorrei tanto capire meglio, devo salutare la città.

Sono passati solo pochi giorni dall’arrivo, ma già a provo una sensazione di familiartià, di casa, di abitudini, di una certa regolarità.

Anche qui ho trovato me stessa.

Anche qui ho prtato un pò di ciò che sono, dando vita ad un dialogo fatto non solo di parole, confidenze, di piccoli battibecchi, ma soprattutto di approcci alla vita, di retroterra culturali, familiari, emotivi, a volte distanti.

Quando Peter mi racconta qualcosa della sua città natale, posso solo chiedermi come sia stata la sua infanza e perchè sia partito alla ricerca di un luogo in cui poter essere anonimo.

Quando gli descrivo la mia casa, quella di cui mi  ha più volte chiesto l’indirizzo, quel luogo che non ho ancora del tutto abbandonato, o quando lui mi mostra vecchie fotografie che tradiscono una dolcezza che ancora si vergogna a mostrare, in quei momenti i due mondi si conoscono, si parlano. Si attraggono e si respingono.

E’ forse questa capacità di entrare in relazione su un piano che è più emotivo e narrativo che razionale e pragmatico, che ci permette di creare, di scrivere, di immaginare, di condividere, di progettare.

E’ per questo strano modo che abbiamo di portare l’uno nell’universo dell’altro e di lasciarci guidare, a nostra volta, nell’esplorazione della diversità, che ogni incontro è fecondo.

E, anche se nessuno dei due sa se e cosa nascerà dalle pagine che stiamo riempiendo, in entrambi è forte il desiderio di continuare ad alimentare quella fiamma.

Con la certezza che, finchè sapremo tenere vivo il reciproco desiderio di conoscere, di capire, di scrivere, allora tutto questo avrà un senso.

Con curiosità, gentilezza e coraggio,

Valeria