“Il filosofo non deve mai dimenticare che la sua è un’arte e non una scienza.”
(Arthur Schopenhauer)
Ci sono stata spesso sulla “poltrona del consultante” e, quando ci torno, provo sempre un mix di timore ed eccitazione.
Perché, inutile negarlo, confrontarsi con un filosofo, per quanto mortale, perfettibile e umano, mette un po’ sulle spine.
I filosofi, nell’immaginario collettivo, sono persone dotate di una qualche comprensione più profonda del mondo e sembra che, attraverso le loro domande, ci vogliano mettere alla prova o, chissà, magari condurci in qualche luogo ancora sconosciuto ai comuni mortali.
Per quanto i racconti delle vite – spesso sopra le righe – e delle attitudini – spesso eccentriche – dei filosofi quali esseri che si aggirano nel mondo, pur non essendone totalmente parte, sembrino confermare questa visione, non va dimenticato che chi sta dall’altra parte è pur sempre una persona, che, al pari ogni altra, si è confrontata con la propria finitudine, con la fragilità, con le gioie e i dolori della vita, con le sconfitte e i successi, con i sogni non ancora realizzati e con le opportunità inaspettate che la vita gli ha offerto.
Ciò che, forse, fa la differenza rispetto al comune approccio alla vita, è la capacità di osservare le esperienze, di attraversarle con atteggiamento critico, ma imparziale e, mi spingo a dire, di considerarle in quanto tali, ovvero, con occhio privo di etichette e pre-concetti, e con la libertà di chi non usa incasellare gli eventi in un quadro solo perché, tale struttura, può essere utile ai fini dell’orientamento nel mondo.
E’ proprio questa libertà, questa possibilità di stare nelle cose, così come sono, di viverle, invece che giudicarle, che dona coraggio.
Ed è questo atteggiamento non-giudicante, ma fortemente determinato a conoscere, scoprire, analizzare, problematizzare, che permette al consultante, attraverso il dialogo, di giungere ad una maggiore chiarificazione del tema su cui decide di confrontarsi con il filosofo e, magari, di valutare altri possibili chiavi di lettura della realtà, al fine di trovare quella che meglio gli permette di esprimere se stesso.
E’ nel processo, in quell’incessante sottoporre a verifica il proprio essere e il proprio pensiero, grazie e attraverso il confronto dialogico, infatti, che qualcosa cambia in chi fa filosofia.
E anche gli eventi, in questa prospettiva, anche la vita stessa, appare allora come una grande palestra nella quale potersi mettere in gioco e fare esperienza, ma che funge anche da terreno di verifica di un’idea o un’ipotesi.
Ecco perché il filosofo non ha paura della vita: perché è l’unico, vero, interlocutore del proprio pensiero: l’unica occasione che ha per sottoporre se stesso a verifica e indirizzare il pensiero.
Il consulente filosofico, dunque, offre al consultante un collegamento tra la posizione che occupa in quel momento e il mondo e gli offre strumenti per dialogare in modo più efficace con quello stesso mondo, imparando ad ascoltarne e decodificarne i messaggi e a dare risposte che siano sempre più consapevoli e meno dettate da posizioni irriflesse o reazioni automatiche.
E’ in questa distanza tra noi e ciò che ci circonda, ma anche tra noi e ciò che siamo abituati ad essere, che si apre un ventaglio di opportunità e in cui trovano spazio l’azione e il cambiamento.
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