“Cammina sul fermo suolo della non oggettività del reale” (Milarepa)
“Tell me something about your past“.
Con la stessa naturalezza con cui mi avrebbe chiesto di passargli un bicchiere di acqua, Hayat mi catapulta in un passato che, oggi, torna ad essere un enorme bacino di ricordi il cui valore emotivo, affettivo, esperienziale, varia in funzione del livello di benessere interiore.
Lungi dall’essere un monolitico blocco di eventi, incontri, sogni, passioni o problemi, il susseguirsi di ricordi che siamo soliti chiamare “storia personale“, sembra più un libro illustrato in cui le immagini restano invariate mentre le didascalie cambiano di giorno in giorno.
Le sue domande, dunque, sono il mezzo attraverso cui riscrivo, coloro o stempero i fatti e il fatto di sentirmi a mio agio e di non percepire nella sua voce alcuna traccia di invadenza o di giudizio, mi aiuta ad affrontare ogni argomento con serenità e con la certezza che le informazioni condivise non diventeranno un’etichetta indelebile, ma, al contrario, saranno il ponte tra ciò che è stato, ciò che è e ciò che sarà.
Come nella consulenza filosofica, l’interrogare radicale, ovvero, quella capacità di restare “svegli” a ciò che succede e di osservarlo come fosse la prima volta, diventa quindi un collante importante tra di noi e getta le basi per un rapporto che, al di là della forma o del nome, sta trovando una sua ragion d’essere in un presente tanto incerto quanto ricco di stimoli.
Non solo: quando la dolcezza riesce a penetrare nelle pieghe dell’anima, ogni cosa si rivela per ciò che è, ossia, come direbbero i mistici e gli sciamani, puro sogno, illusione, proiezione.
Con la speranza che, sempre di più, le nostre menti si aprano alla comprensione della vera natura del reale e che il cuore sia sempre pronto ad accogliere e lasciare andare persone, esperienze, oggetti, ringrazio per l’opportunità di tornare ad essere, ancora una volta, regista e attrice di questa avventura imprevedibile che chiamiamo vita.
Con affetto,
Valeria
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