“Se ami rettamente puoi fare solo il bene”
(Giovanni Boccaccio)
La calda luce del mattino illumina i volti nel tragitto che, da casa, li conduce in areoporto. Nessuna automobile che sfreccia per la città infrangendo ogni regola del codice della strada, stavolta, ma un autobus che, con puntaulità, li riconsegna alla realtà.
“I can not make you promises” le dice, “becouse I may not be able to keep them”.
A quel punto, come in un romanzo, i protagonisti si congedano con una formula che lascia al lettore la possibilità di immaginare cosa accadrà nel capitolo successivo.
Peter è in piedi davanti a me: la fioca luce di inizio novembre illumina i suoi occhi chiari. Sorride, parla, risponde alla chiamata di un amico curioso di sapere cosa sia successo con la “ragazza di Firenze“.
Si prende del tempo, pianifica una visita dal dottore e decide di trascorrere il pomeriggio in un caffè. Poi mi ripete quanto sia felice di vivere qui.
Ed io, più silenziosa, mi preparo a tornare in quella Terra che, solo poche ore prima, ho osservato con gli occhi di chi abita il futuro e che guarda agli sfarzi del passato con ammirazione, ma anche con un pizzico di supponenza.
Tutto si svolge con la stessa naturalezza che ha segnato la maggior parte dei cinque giorni trascorsi nella capitale tedesca.
Lui, abitante del mondo, che mi tratta come la ragazza di campagna, io che, nel fare pace con questa descrizione, mi scopro capace di giocare con le immagini, anche quelle più scomode.
Lui, sorridente sconosciuto che sembra aver trovato se stesso, io, perennemente alla ricerca di qualcosa.
Lui, che ha stabilito da tempo dove vuole andare, io, decisa a lasciarmi soprendere dalla vita.
Lui, che rifiuta gli stereotipi ma fissa la mia immagine dentro un’etichetta, io che compongo il puzzle della mia identità attraverso le parole che lui usa per descrivermi.
Lui ed io, insieme, in uno strano racconto che sembra innestarsi negli interstizi di due vite che procedono autonome e indipendenti.
Il cinema, le cene nei ristoranti etnici, il tour nei luoghi più caratteristici della città, le corse per sconfiggere il freddo, i piccoli giochi che ravvivano la routine, i dialoghi che si protraggono per ore e la certezza che tutte le informazioni condivise verranno elaborate, nella mente dell’altro, con un discreto grado di distorsione rispetto alle intenzioni di chi parla.
Le passeggiate in quella che sembra essere una vera e propria foresta nel cuore della capitale, l’atmosfera ottocentesca che ancora si respira nei quartieri meno moderni, la capacità di parlare delle cose più serie e di spingersi in proposte che portano a riflettere sul futuro, sentire che l’altro è totalmente con te, con il corpo e con la mente, condividere una quotidianità che parla di abitudini diverse e probabilmente inconciliabili e riconoscere che l’immagine dell’altro che più ti piace è quella che lo vede in tuta mentre ti prepara la colazione.
La dolcezza di una fotografia, la sensualità di un profumo, la tenerezza di uno sguardo che accoglie e rispetta, la forza di un abbraccio che stringe e protegge e la frustrazione di dover, qualche volta, ricorrere alle parole per esplicitare ciò che, nella tua mente, è tanto chiaro: questo è ciò che mi accompagna nel rientro a casa.
Ed anche ora che il tempo dei saluti è ormai prossimo, ci lasciamo semplicemente trasportare dalla corrente, senza troppo bisogno di dire, di chiedere nè di spiegare.
E’ solo un grazie ciò che ancora mi sento di aggiungere.
Grazie per avermi “costretta” a seguire il flusso della vita, alla quale a volte cerco di oppormi.
Grazie per la delicatezza con cui hai assecondato le mie piccole nevrosi e per la naturalezza con cui hai lasciato che occupassi gli spazi di casa. Grazie per aver la sincerità con cui mi hai parlato e per le piccole bugie che, fose inevitabilmente, ci siamo detti.
Grazie per gli indizi che, sparsi qua e là, mi hanno raccontato qualcosa di te e grazie per tutte le cose che ancora restano da scoprire uno dell’altra.
Grazie, soprattutto, per aver saputo andare oltre l’immagine di te che mi ero costruita e avermi lasciata con la curiosità di scoprire come proseguirà questo romanzo a quattro mani.
Con affetto e riconoscenza,
your “Ninja Yogini”