Pratica filosofica: verso un sapere che trasforma

“La maggioranza delle persone impara a conoscere soltanto un angolo del proprio spazio, un posto alla finestra, una striscia, su cui andare su e giù”.
(Rainer Marie Rilke)

 

Chissà se davvero esiste una soglia minima di età per essere counsellor?

E chissà se conta più l’aver attraversato in prima persona gli alti e bassi della vita o aver acquisito un metodo per navigare nella corrente, quando la marea verrà a cercarci?

Forse ci sono buone ragioni per entrambe le posizioni.

Ma, mentre il mio interlocutore espone il suo punto di vista, non posso fare a meno di pensare al susseguirsi di eventi degli ultimi anni.

La perdita di due persone care, che hanno lasciato (forse) troppo presto questo corpo terrestre, le scelte più consapevoli che ne sono seguite nel tentativo di correggere il tiro laddove mi sono accorta che qualcosa non andava, l’incontro/scontro con la malattia e la decisione, presa non senza difficoltà, di rifiutare l’etichetta di “malata” per abbracciare integralmente la visione sciamanica del disagio come opportunità e come grido dell’anima che si ribella ad una vita preconfezionata.

L’inizio di una importante storia d’amore, arrivata dopo un lungo periodo di solitudine, e poi la scoperta che sto facendo pace con il “lasciare andare” e che il tempo e la pratica mi hanno insegnato a chiudere accettando la sofferenza se arriva, ma anche riconoscendo in ogni evento, per quanto improvviso, un segno attraverso cui un piano più grande trova il modo di manifestarsi.

E questi 10 giorni al ritiro di Vipassana appena concluso, mi hanno lasciata con la sensazione che anche questo capitolo sia finito.

Non più figlia-di, non più bambina, non più dipendente. Solo Valeria, forse per la prima volta.

Nel silenzio delle passeggiate tra una meditazione e l’altra, ho infatti messo a fuoco che la sensazione di leggerezza che sentivo dietro la schiena una volta sciolto il dolore fisico, era sintomo dell’aver reciso due legami importanti ma non funzionali alla possibilità di esprimermi pienamente ed essere me stessa nel mondo.

Aver distinto la maternità dal rapporto con mia madre ed aver realizzato che, qualunque cosa accadrà, io sono già “altro” rispetto alla storia familiare, perché le esperienze maturate proprio negli anni in cui sembrava non facessi altro che scappare, sono state quelle che mi hanno infine restituito una Valeria diversa, che ha pian piano integrato ciò che era (le mie radici) con ciò che ho scoperto di poter essere e fare quando sono da sola, sono stati due momenti di svolta.

La cosa che mi riempie di gratitudine, ora che una nuova strada si sta spianando davanti a me, è realizzare che, tanto nella prima quanto nella seconda vita, l‘approdo è stato la spiritualità.

Ecco perché iniziare questi primi giorni della mia “terza vita” con una proposta legata alla sfera spirituale, sembra un regalo tanto inatteso quanto appropriato.

Con gioia e con la speranza di portare avanti al meglio questa sfida, 

Valeria