Pratica filosofica: l’arte di comunicare in modo efficace

“Il fallimento di una relazione è quasi sempre un fallimento di comunicazione”.
(Zygmunt Bauman)

 

Spesso i consultanti regalano ai consulenti (gradite) sorprese.

E’ successo anche con Carla*.

Nelle nostre passate sessioni filosofiche, infatti, Carla ed io abbiamo a lungo discusso dell’ambito relazionale, fonte purtroppo di delusione e sofferenza.

Attraverso il dialogo abbiamo messo a fuoco gli aspetti più rilevanti, per poi passare in rassegna le emozioni implicate e, infine, affrontare quanto emerso alla luce della sua visione del mondo.

Il riferimento all’ universo concettuale e il rispetto delle credenze del consultante (per quanto da porre sistematicamente al vaglio della ragione), sono infatti imprescindibili elementi del percorso.

Ieri, dunque, la svolta.

O meglio, un passo avanti in un processo che, da esigenze strettamente personali e riferimenti alla quotidianità, si è invece ampliato siano a generare in Carla il desiderio di affrontare un tema – quello del riconoscimento – più ampio.

Il nostro dialogo, dunque, ha comunque preso avvio dalla sua esperienza, per poi trascenderla.

Primo passo: chiedere tre esempi di situazioni nelle quali non si è sentita riconosciuta, per poi proseguire con altrettanti esempi di momenti in cui, al contrario, ha avuto riconoscimento e, infine, tre esempi in cui lei stessa lo ha offerto.

Questa prima fase si è rivelata importante per due motivi.

Primo, per permetterci di identificare ciò che lei intende per “riconoscimento” (l’esempio, dunque, come strumento per definire un concetto); secondo, perché, dai racconti fatti, è emerso con chiarezza che, mentre il mancato riconoscimento era connesso alla parola (detta o scritta), il riconoscimento dato e ricevuto, passava invece per gesti, azioni, fisicità e corporeità.

Ho perciò proposto a Carla di potenziare questi ambiti e di verificare, attraverso una serie di piccoli esperimenti, l’efficacia della sua comunicazione verbale.

Al lavoro, in casa e con il gruppo di amici, dovrà quindi provare a comunicare qualcosa, chiedendo, poi, ai diversi interlocutori, di restituire tanto il contenuto quanto il carico emotivo da loro percepito, così che Carla possa verificare se c’è coerenza tra le sue intenzioni (ciò che vuole dire) e l’effetto.

Arriviamo così a identificare due elementi che ci serviranno come parametri valutativi: la chiarezza espositiva e l’efficacia del messaggio (non è sufficiente, infatti, che l’altro capisca: la parola, infatti, dovrà avere come effetto l’azione desiderata).

Il momento finale, che segue ad una breve meditazione guidata che aiuta ad accedere ad un piano di coscienza espanso, ci regala poi un ulteriore breve riflessione sulle sincronicità: ho infatti chiesto alla consultante di aprire a caso il libro che le ho messo davanti e di leggerne un brano.

Non serve dire che il passo in questione aveva come tema quello della comunicazione!

Per soddisfare la curiosità dei lettori e per stimolare, anche in Voi il desiderio di lasciarVi guidare dall’esperienza, lo riporto di seguito.

Con l’augurio di continuare a coltivare l’esercizio del pensiero,

Valeria

L’altra metà

Un giorno di Sabato Grande, il Rabbi Ropschitz tornò a casa dalla sinagoga con passo un po’ stanco. “Che cosa ti ha così spossato?” gli chiese sua moglie. “La predica” disse lui, “mi ha fatto tanto faticare. Dovevo parlare dei poveri e dei loro molteplici bisogni per la prossima Pasqua, perché mazzo e vino e tutto il resto sono carissimi quest’anno”. “E che hai raggiunto con la tua predica?” chiese ancora la moglie. “La metà del necessario è assicurata” rispose lui, “i poveri, cioè, sono pronti a ricevere. Come stiano le cose per l’altra metà, se cioè i ricchi sono disposti a dare, questo ancora non lo so”:

(Martin Buber, I racconti di Hassidim)

 

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