La leggenda riportata di seguito è un esempio di come, attraverso la narrazione, si possa avviare un percorso di auto-esplorazione, che ci porta ad individuare eventuali squilibri nella nostra vita e in noi stessi.
Ognuna delle porte di cui si parla nel racconto rappresenta infatti un’attitudine che può essere più o meno sviluppata in noi. Portare l’attenzione su ciò che siamo, qui ed ora, è un buon punto di partenza per individuare la disarmonia e risanarla.
LA LEGGENDA DELLE QUATTRO PORTE DI GIADA
L’imperatore viveva in un palazzo con quattro porte di giada. Dalle quattro porte continuamente partivano e ritornavano i messaggeri a cavallo, sguinzagliati per l’impero a portare i suoi comandi e riportare le risposte dei sudditi. L’imperatore si chiamava Ta Ciuang, ed era chiamato colui che chiude gli occhi per vedere meglio.
Ciascuna porta guardava a un punto cardinale ed era consacrata ad una delle quattro parti sacre del corpo del Budda: testa, cuore, genitali, mano destra.
Dalla porta della mente, che è la porta della chiarezza, uscivano i messaggeri che portavano le comunicazioni per tutti i feudatari, i comandanti e gli architetti.
L’imperatore, ogni mattina dettava al suo segretario questi messaggi; cercava che fossero chiari, con parole esatte e logica limpida. Per farlo chiudeva gli occhi e cercava di sentirsi nella testa di chi avrebbe letto quel messaggio: avrebbe saputo comprendere quelle parole? Avrebbe saputo condividere quella logica? Quando ci riusciva era un buon imperatore ma qualche volta non ci riusciva e ed il suo impero si indeboliva.
Dalla porta del cuore, che è la porta della sensibilità, entravano i messaggeri che raccontavano i sentimenti del popolo. Ogni mattina l’imperatore li riceveva e li ascoltava cercando di comprendere le esigenze del popolo; qualche volta era facile, ma altre volte erano messaggi confusi e difficili da interpretare. Per farlo il grande imperatore chiudeva gli occhi e cercava di sentirsi dentro al cuore di un contadino, un commerciante, un navigatore.
Quando ci riusciva capiva cosa doveva fare per essere un buon imperatore ma qualche volta non ci riusciva e il suo impero si indeboliva.
La porta verso sud, che è la porta della fertilità e del coraggio, un tempo era servita per inviare eserciti contro altri eserciti. Quello fu un tempo sciagurato.
Ora la porta serviva per mandare ordini e leggi. Ogni giorno partivano messaggeri, ad esempio con una legge per il commercio; o per inviare l’ordine di erigere un ponte, che è un lavoro lungo e faticoso e che, finché non è finito, a molti appare inutile; o per imporre ai genitori di mandare i figli a scuola, nonostante il loro aiuto sia prezioso nei campi. Il suo compito era anche quello di punire i ladri. Lo doveva ordinare con decisione, imparzialità e con un processo regolare.
L’imperatore, per emanare un ordine, chiudeva gli occhi e cercava di sentirsi come l’uomo che lo riceveva. Si chiedeva: “Quando un ordine annienta la virilità di chi lo riceve?… E quando invece un ordine indirizza e rafforza la virilità di chi obbedisce?…”. La risposta era: “Quando si da un comando saggio ed avveduto, chi obbedisce sente che può fidarsi del capo ”. Quindi, cercava di emanare ordini autorevoli e saggi. Quando ci riusciva era un buon imperatore, qualche volta non ci riusciva e chi li riceveva si sentiva annientato, nasceva un nemico ed il suo impero si indeboliva.
L’ultima porta è la porta della mano destra del Budda fa il gesto dolcissimo di offrire un fiore. Questa è la porta dell’incontro. E’ la porta delle buone cortesie, dell’educazione, delle forme. I messaggeri che uscivano da quella porta parlavano ai saggi, agli anziani, ai sacerdoti; sapevano di dover formulare saluti ossequiosi e inchini. Ma se incontravano una ragazza formosa per strada, erano tutti altrettanto raffinati? E se incontravano un anziano in mezzo alla pista polverosa del loro cavalcare, erano altrettanto rispettosi? E quando parlavano coi saggi nel tempio, le loro parole erano sincere o suonavano come cortesie formali declamate per abitudine ? L’imperatore se lo chiedeva e non mancava di ripeterlo ai messaggeri: “La forma è la mano che porge la sostanza.
In ogni gentilezza si nascondono le parole io ti riconosco”.
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