“E chiedo, per le cose profonde a che serve il linguaggio?”
(Edgar Lee Masters)
Ci sono termini fortemente allusivi.
Molte delle parole che utilizziamo, in realtà, hanno una vasta gamma di signficati e ognuno di noi contribuisce a definire un termine a partire dall’utilizzo che ne fa.
Gli esercizi filosofici, spesso, vertono proprio sull’esplicitazione del significato che attribuiamo ad una parola e, anche nelle sessioni filosofiche individuali, il lavoro sul linguaggio è fondamentale.
La logoanalisi e il dialogo filosofico, per esmpio, guidano il consultante in un percorso di riconoscimento del proprio vocabolario, ovvero, sulla presa di coscienza delle parole che usiamo (qualche volta senza nemmeno accorgercene) e sulla chiarificazione dei relativi significati.
Perchè la parola, si sa, crea.
E la narrazione che facciamo della realtà che ci circonda, di noi stessi e della nostra storia, contribuisce a definire chi siamo, descrive la nostra filosofia di vita, stabilisce quali possibilità la mente contempla e quali, al contrario, esclude. A volte, anche a priori.
LA PRATICA
- Leggi la poesia di Edgar Lee Master “Ho conosciuto il silenzio“, che trovi qui sotto.
- Identifica ameno tre concetti espressi dalla poesia, riportando la citazione del testo e, di seguito, il concetto che tu hai identificato.
- Rispondi alla domanda, contenuta nel testo: “E chiedo, per le cose profonde, a cosa serve il linguaggio?“. Scrivi al massimo 10 righe e, di seguito, indica qual è il concetto fondamentale che vuoi esprimere in una parola, ovvero, trova una parola-chiave che rappresenti il nucleo centrare del tuo pensiero.
- Inviami il tuo lavoro: ne faremo il punto di partenza per una sessione filosofica individuale, anche on line.
Non esitare a scrivermi per ogni dibbio o richiesta di chiarmimento!
Buona pratica,
Valeria
Ho conosciuto il silenzio.
Ho conosciuto il silenzio delle stelle e del mare
e il silenzio della città quando si placa
e il silenzio di un uomo e di una vergine
e il silenzio con cui soltanto la musica trova linguaggio.
Il silenzio dei boschi
prima che sorga il vento di primavera
e il silenzio dei malati quando girano gli occhi per la stanza,
e chiedo per le cose profonde a che serve il linguaggio.
Un animale nei campi geme una o due volte
quando la morte coglie i suoi piccoli;
noi siamo senza voce di fronte alla realtà.
Noi non sappiamo parlare.
Un ragazzo curioso domanda a un vecchio soldato
seduto davanti la drogheria
Come hai perduto la gamba?
e il vecchio soldato è colpito di silenzio e poi gli dice
Me l’ha mangiata un orso.
E il ragazzo stupisce,
mentre il vecchio soldato, muto,
rivive come in sogno
le vampe dei fucili
il tuono del cannone
le grida dei colpiti a morte
e sè stesso disteso al suolo
i chirurghi dell’ospedale
i ferri
i lunghi giorni di letto.
Ma se sapesse descrivere ogni cosa sarebbe un artista,
ma se fosse un artista
vi sarebbero ferite più profonde
che non saprebbe descrivere.
C’è il silenzio di un grande odio
e il silenzio di un grande amore
e il silenzio di una profonda pace dell’anima
e il silenzio di un’amicizia avvelenata.
C’è il silenzio di una crisi spirituale
attraverso la quale l’anima, sottilmente tormentata,
giunge con visioni inesprimibili
in un regno di vita più alta,
e il silenzio degli dèi che si capiscono senza parlare.
C’è il silenzio della sconfitta
c’è il silenzio di coloro che sono ingiustamente puniti
e il silenzio del morente, la cui mano stringe subitamente la vostra.
C’è il silenzio tra padre e figlio,
quando il padre non sa spiegare la sua vita, sebbene in tal modo
non trovi giustizia.
C’è il silenzio che interviene fra il marito e la moglie
c’è il silenzio dei falliti
e il vasto silenzio che copre le nazioni disfatte e i condottieri vinti.
C’è il silenzio di Lincoln, che pensa alla povertà della sua giovinezza
e il silenzio di Napoleone dopo Waterloo
e il silenzio di Giovanna d’Arco
che dice tra le fiamme
Gesù benedetto
rivelando in due parole ogni dolore, ogni speranza.
C’è il silenzio dei vecchi,
troppo carichi di saggezza
perché la lingua possa esprimerla
in parole intelligibili
a coloro che non hanno vissuto la grande parabola della vita.
E c’è il silenzio dei morti.
Se noi che siamo vivi non sappiamo parlare di profonde esperienze,
perché vi stupite che i morti non vi parlino della morte?
Quando li avremo raggiunti
il loro silenzio avrà spiegazione.
(Edgar Lee Masters)