“Le montagne sono le grandi cattedrali della terra, con i loro portali di roccia, i mosaici di nubi, i cori dei torrenti, gli altari di neve, le volte di porpora scintillanti di stelle”.
(John Ruskin)
Lo zaino è pronto, l’ho preparato con cura la sera prima cercando di ricordare le indicazioni che Laura, la mia guida, mi ha dato: mantella impermeabile, calze di ricambio, una maglia extra, pranzo al sacco, tanta acqua e un po’ di uvetta per una buona dose di energia e vitalità.
Mancano solo le scarpe, che da quasi 8 mesi sono chiuse nella scatola: rivederle fa affiorare una dolce malinconia che, per tutta la giornata, a tratti si ripresenta.
La lascio esistere, le riconosco diritto di cittadinanza nel mio cuore e nella mia escursione.
E permetto ai ricordi di presentarsi: le distese verdi, la mano che ti accompagna e ti aiuta ad attraversare il ruscello, quella stessa mano a cui mi aggrappo quando le mucche si fanno troppo vicine e io inizio ad avere la spiacevole sensazione che ci vogliano pedinare (!).
Ripenso ai consigli su come affrontare i tratti in salita, andando a zig zag per smorzare la fatica, o alle istruzioni per appoggiare i piedi scendendo lungo i sentieri tra i boschi.
Rivivo il sorriso che ha accompagnato un lungo scambio di baci, carezze e promesse, la sfida a sedermi sulla cacca della mucca per dimostrare alla mia anima “fighetta” che si può essere chic anche con pantaloncini corti e scarpe da ginnastica.
Ritrovo l’amore per quell’amore che ha portato una gioia immensa nella mia vita e, al tempo stesso, riconosco che questa gioia è comunque qui, comunque mia, imperturbabile e tenace, fermamente determinata a continuare ad esistere, al di là della perdita, della sofferenza, dei sogni da richiudere nel cassetto.
Continuo a camminare: questa volta è la mia amica Laura ad essermi accanto e ad incoraggiarmi quando, intimorita, mi fermo davanti alla cascata che dovremo attraversare.
Ed è a quel punto che la sento: riconosco la paura, la paura della mente che paralizza le gambe.
La mente vorrebbe fermarsi. E infatti l’indicazione su come procedere non arriva da lì, ma dalle gambe: intuitivamente, le gambe mi suggeriscono di procedere, di muovermi, mi dicono che il modo migliore per superare il blocco è continuare a camminare, a piccoli passi, ma senza fermarmi.
A quel punto, quasi commossa, riconosco l’infinita intelligenza del corpo, troppo spesso paralizzata dalle paure dell’io. E riconosco in quello che sta accadendo una splendida metafora della vita.
Vedo le mie gambe, forti, per nulla spaventate dalla fatica, abituate a camminare, spesso a correre lungo le strade della vita, attratte ma ancora distanti da quella leggerezza che, con la grazia dello stambecco, mi permetterebbe di fluire con più facilità e maggiore rapidità sugli eventi.
Rientriamo alla base stanche, ma sinceramente soddisfatte per i km percorsi, per l’audacia dell’impresa e per la sensazione che, anche grazie a questa gita e all’affetto delle persone care, ora quelle belle scarpe si stiano ri-significando.
Saluto Laura dopo un po’ di meritato relax ed una sfiziosa coppa di gelato, con tanto amore nel cuore. Giro la chiave dell’auto e mi godo la sensazione che il viaggio (ogni viaggio) continui...
Con gratitudine ed emozione,
Valeria