“L’uomo non troverà la interiore finché non imparerà ad estendere la sua compassione a tutti gli esseri viventi”
(Alberto Schweitzer)
L’ultimo giorno è dedicato a Metta Bhavana, la meditazione di amorevolezza.
La si pratica al termine della regolare meditazione Vipassana e consiste nel coltivare amorevole gentilezza e compassione verso tutti gli esseri senzienti, augurando loro di vivere in pace, felici e liberi da ogni negatività.
E si rivolge poi lo stesso augurio a se stessi.
Metta Bhavana va praticata ogni giorno, ma solo a condizione di non provare dentro di sé alcuna traccia di rabbia, rancore o risentimento.
Con il tempo diventa naturale coltivare questo modo di essere anche nella vita quotidiana ed è sempre più frequente predisporsi con apertura, fiducia e disponibilità verso le persone che incontriamo lungo il cammino.
Scopo della meditazione, infatti, è proprio trasformare la vita, non di portarci in un “altrove” che ci permetta di evadere dal presente. La pratica di Vipassana, in particolare, è un invito a restare svegli, vigili in ogni istante, consapevoli di ciò che succede dentro e fuori di noi.
Ecco perché si porta l’attenzione al respiro e alle sensazioni corporee: perché sono reali e perché ci ancorano alla realtà, evitando che la mente ci porti costantemente a divagare e a costruire immaginari castelli che, per quanto spesso affascinanti, sono semplicemente un’evasione da ciò che c’è e, dunque, un ostacolo che impedisce di vivere totalmente, intensamente, completamente il qui ed ora.
La vera magia delle pratiche, dunque, è permetterci di vedere, aiutarci ad accorgerci dei piccoli e grandi miracoli che costantemente accadono e che spesso non cogliamo proprio perché distratti dai pensieri.
E Metta Bhavana, in particolare, permette di sradicare piano piano il nostro “io” per fare spazio all’altro: alle persone e, infine, alla realtà stessa.
Diviene quindi naturale, se siamo costanti nel meditare, accorgerci che quel desiderio di esserci, quel bisogno di ribadire la nostra presenza, lascia spazio ad un nuovo modo di essere in relazione con l’altro: quello cioè, che permette all’altra persona di esistere, al di là di ciò che noi proiettiamo su di lui/lei costantemente.
Detto altrimenti: se l’abitudine della mente è proiettare ciò che portiamo dentro di noi sul mondo esterno e sulle altre persone, la meditazione permette innanzitutto di riconoscere tali proiezioni e riappropriarcene e, in secondo luogo, di estirparle alla radice, così da lasciare spazio alla relazione con le cose (e le persone) così come sono e non per ciò che noi pensiamo.
Va da sé che tale atteggiamento libera l’altro dalle aspettative con cui lo carichiamo.
Si tratta in sintesi di un processo di pulizia costante, profonda, di liberazione da noi stessi, da ciò di cui è piena la nostra mente, per recuperare un rapporto più autentico con noi stessi, con gli altri e con l’universo intero!
Con gioia e gratitudine per tutti quei momenti in cui è possibile, semplicemente, esistere,
Valeria