“A volte, di notte, dormivo con gli occhi aperti sotto un cielo gocciolante di stelle. Vivevo, allora”.
(Albert Camus)
Quando, come e perché è meglio non sapere?
Ce lo siamo chiesti lo scorso sabato durante l’ultimo dei tre incontri del ciclo “Saper sapere” guidati da Alberto Peretti.
Alberto saluta i partecipanti con un ringraziamento sincero e commosso: l’entusiasmo da cui è nato il progetto e le ore dedicate allo studio e alla promozione del corso traspaiono dal suo sguardo e vengono immediatamente colte dai partecipanti che, animati da tali e tanti spunti, chiedono che a breve siano realizzate nuove iniziative.
Già, perché questi momenti di riflessione sono certamente stati qualcosa in più e qualcosa di diverso rispetto ad una “semplice” lezione di filosofia: Alberto ci ha fatto ragionare, ha sfidato la nostra mente, ha rivitalizzato il desiderio di conoscere e di indagare la realtà con occhio critico e con sguardo sempre nuovo.
Ed è proprio questo ciò che ci rende filosofi, che ci fa restare innamorati della vita, che ci permette di risignificare gli eventi e di vivere, così, in un universo ricco di infinite possibilità.
Ce lo siamo detti molte volte nelle ultime settimane: pensare è un atto trasformativo e, quando viene fatto in modo appropriato, è una vera e propria leva che sradica anche le più radicate abitudini e apre la porta all’inedito, all’inaspettato, a ciò che ci permette di uscire dal prevedibile per fare un tuffo in un mondo “altro”, in cui la magia ha il nome di “sincronici” e il miracolo diventa l’espressione della nostra capacità di rinnovare noi stessi e, così facendo, creare nuove esistenze.
Pensare, dunque, cambia.
Meglio: pensare trasforma, rende vivi, ci permette di esistere in una condizione di perenne rinnovamento, di restare sempre appassionati del mondo, della vita, di noi stessi.
Pensare, in questi termini, è un atto di sfida verso se stessi: ci si sfida ad essere diversi, a riconoscersi manchevoli e desiderosi della presenza dell’altro, ossia, di quel qualcuno capace di condurci là, verso quegli orizzonti che da soli non avremmo saputo immaginare.
Grazie, allora, Alberto, per averci fatto da guida.
Ma grazie soprattutto per questo lungo, intenso, impegnativo anno di collaborazione che ci lasciamo alle spalle.
E’ stato bello, ma anche difficile. E’ stato arricchente, ma anche prosciugante.
Forse, è stato esattamente ciò che è la vita: una carrellata di momenti a cui ciascuno attribuisce un particolare significato e un particolare valore.
Ti saluto senza avere ancora ben identificato la strada verso cui mi dirigerò, ma con la consapevolezza che, continuando a fare spazio, la vita troverà il modo di far sgorgare dal vuoto nuove possibilità, di vita e di crescita.
Ti ringrazio e ti invito a prendere questo articolo come un omaggio a ciò che abbiamo saputo “partorire” mettendo in dialogo i nostri reciproci “vuoti”.
Ora è giunto il momento di salutarci, ma, come ama ripetere la nostra comune amica che abita perennemente nel qui ed ora: “Non esiste né l’incontrarsi né il separarsi: esiste solo il puro piacere dello spazio dinamico”.
Con gioia, gratitudine e affetto,
Valeria (per te, Trab)