“La meditazione purifica l’anima, governa gli affetti, dirige le azioni, corregge gli eccessi. Forma i costumi, rende la vita onesta e bene ordinata, dà la scienza delle cose umane e divine”.
(San Bernardo)
La prima immagine che si è presentata all’uscita della sala mi meditazione (o che la mia mente ha prodotto), al 10 giorno di corso, quando ormai era permesso parlare e confrontarsi anche con gli uomini presenti al centro, è stata quella di due fidanzati che, con gli occhi che straripavano d’amore e gioia, si raccontavano e mettevano nelle mani e nel cuore uno dell’altro i dettagli più intimi della loro esperienza.
Vederli ha riempito anche me di profonda commozione, sfociata in un pianto liberatorio.
Era finita: eravamo arrivati al momento dei saluti.
La parte più intensa e dura del lavoro, lo stare con il dolore fisico, con i capricci della mente, auto-costringersi ad osservarsi, restando svegli (fisicamente e metaforicamente) per le 10/12 ore di meditazione, sfruttando ogni momento per portare a galla anni ed anni di pensieri, giudizi, condizionamenti, quella parte era ormai alle spalle.
Ben consapevole che la pratica è in un certo senso appena iniziata e che quelli gettati al corso sono dei semi che vanno innaffiati nella quotidianità, mi sono però assaporata fino alla fine la sensazione di leggerezza e la forza che la permanenza al ritiro di Vipassana mi aveva donato o restituito.
Ogni serio percorso introspettivo che ho seguito, infatti, ha posto l’accento sullo stesso tema: quello dell’accettazione di sé e dell’esperienza per come sono, libera dal bisogno o dal desiderio di fuggire, di cambiare le cose, di correggere una realtà che, se ben compresa, si rivela sempre perfetta.
E una pratica come la meditazione Vipassana, con il suo invito all’osservazione del respiro e delle sensazioni, è per me tanto ardua (perché la mia parte creativa è sempre alla ricerca di qualche appiglio per iniziare a creare, immaginare, costruire) quanto salutare: perché mi radica, mi centra, mi ricorda di esserci.
Ed esserci è l’unica cosa che possiamo fare per poter dire di stare davvero vivendo: ogni altra esperienza, ogni momento in cui non siamo totalmente connessi con ciò che c’è, è un attimo tolto alla vita.
Con l’invito a partecipare pienamente alla vita, dunque, vi ringrazio per il tempo dedicato alla lettura e vi auguro un buon cammino di risveglio,
Valeria