Apologia del settimo giorno: affrontare gli abissi e le vette con la pratica filosofica

“La creazione spontanea è la ragione per cui c’è qualcosa invece di nulla, per cui esiste il cosmo, per cui esistiamo noi”.

(Stephen Hawking)

 

Si dice che anche Dio, il settimo giorno, si sia riposato.

Forse con troppa ingenuità, ascoltando questa frase, ho sempre immaginato un Anziano Signore che, seduto un trono di nuvole, guardando soddisfatto e compiaciuto la Sua opera, si concedeva una domenica di relax, in attesa dell’inizio di una nuova settimana.

Non avevo mai considerato l’ipotesi che anche Lui potesse essere stanco ed un po’ sopraffatto dalle richieste del creato, infastidito da pesci che lamentano la mancanza delle zampe, alberi che invidiano la capacità degli uccellini di intonare dolci e gioiose melodie e uomini e donne che, invece di godere dei privilegi della libertà, si lamentano per la mancanza di un istinto che li vincoli ai bisogni della specie.

Quella del settimo giorno può quindi essere una bella sfida anche per chi ha già vissuto molte vite ed incontrato molti Maestri. Perché ci chiede di fare i conti con il fatto che tutti, ciclicamente, siamo umani. E fragili.

Cosa fare, dunque, se qualche volta ci sentiamo insofferenti rispetto a persone e situazioni che, continuamente, richiedono un approccio performante, basato sui parametri del marketing (quelli dell’efficacia e dell’efficienza)?

Forse, in questi casi, basta solo fermarsi un momento. E accettare.

Accettare la stanchezza, accettare che le cose siano esattamente così, accettare che anche le persone forti necessitano di un abbraccio che avvolga corpo ed anima.

Accettare è anche fare i conti con il fatto che questo possa non accadere e che, in quel caso, dovremo trovare dentro di noi le risorse necessarie per rialzarci e tornare a vedere, nell’azzurro di un caldo cielo estivo o nella trasparenza della neve appena caduta, un motivo sufficiente per esprimere il nostro “sì” alla vita, qualunque sia e qualunque cosa accada.

Perché la verità – che pure a volte fa male – è che è questa capacità è il motore per attirare di nuovo positività e forza dal contesto. Può non piacere, può essere scomodo, ma possiamo contare sul fatto che, come insegna il Tao, ogni polo contiene il suo opposto.

Essere immersi nel flusso della vita, dunque, significa imparare a cavalcare la corrente e a lasciarci trasportare dall’onda, invece che tentare di porre resistenza o provare ad evitare di bagnarci: farlo, infatti, significa ritrarsi dall’esperienza, vivere ai margini delle nostre possibilità.

Senza paura, quindi, tanto lo yoga quanto la filosofia, invitano a porsi davanti all’esistenza con un atteggiamento di coraggiosa e gioia accettazione ed offrono idee e strumenti per attraversare ognuna delle sue fasi con equanimità.

Amare il settimo giorno (o il settimo minuto o il settimo secondo) non nonostante ciò che è, ma esattamente per ciò che è passa dunque dal riconoscere il fascino di un viso che si corruccia, di uno sguardo malinconico, di una parola che si fa, a volte, diabolica (nel senso etimologico di “ciò che divide“) e di un io che sente il bisogno di metterti alla prova per capire se quanto può fidarsi e aprirsi.

L’arte della trasvalutazione consiste perciò nel lasciare andare il giudizio che la mente dà su ciò che accade e godere di ogni cosa, riconoscendone il lato estetico, il fascino, appunto.

Ecco cosa significa essere equanimi e, di conseguenza, liberi.

In questo inizio settimana, allora, l’invito è provare a stare con ciò che c’è, esattamente così come è, con imparzialità, fiducia, amore.

Con gioia e curiosità,

Valeria