“Brahmārpañam Brahma Havir
Brahmāgnau Brahmañāhutaṃ,
Brahmaiva Tena Gantavyam
BrahmakarmāSamādhinah”.
“L’atto di offrire è Dio, l’offerta è Dio,
da Dio viene versata sul fuoco del sacrificio di Dio.
In verità si raggiunge Dio
concentrandosi perfettamente nell’azione,
che è essa stessa Dio”.
(Bhagavad Gita 4:24)
Il momento che precede i pasti è stato uno dei più emozionanti della mia permanenza all’ashram.
Riuniti in cerchio, le mani in quelle del vicino, lo Swami intona la preghiera e ci ricorda che mangiare è qualcosa di più che un modo per soddisfare le gioie del palato.
Mangiare è un modo per nutrire lo spirito, è un’occasione per ricordare che Brahman – Dio, l’Essere Supremo – è il cibo stesso, quel cibo che andremo ad ingerire. Brahman è ciò che porteremo dentro di noi, ma è anche colui che mangia, Brahman è il fuoco ed è l’atto stesso del cucinare.
Brahman è tutto. Brahman è il tutto. Tutto è Brahman.
Ogni cosa che appare è pervasa dall’energia divina, è essa stessa divina.
E, per quanto la mente sia vittima dell’illusione dell’oggettività del reale e della credenza che esista un “io” separato dal tutto, la consapevolezza sa, ricorda, di essere essa stessa scintilla divina.
La preghiera è allora la via per rendere sacro un atto quotidiano e per trasformare ogni gesto in un’opportunità per coltivare la gratitudine, la presenza mentale e il silenzio.
Quando mangiare diventa un problema, quando la relazione con il cibo è difficile, quando qualcosa che dovrebbe essere semplice e naturale crea stress, ansia, emozioni difficili, la consapevolezza che ciò che facciamo è un’occasione per connetterci al divino e alla parte più profonda di noi stessi, è un punto di partenza per cambiare prospettiva e trasformare per sempre il nostro rapporto col cibo e col corpo.
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